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Salviamo la Benetton, orgoglio d’Italia

Giu 21, 2021

 

di Massimo Gallo

 

Il titolo non è mio: ho solo sostituito una parola, il titolo è di un pezzo del collega Valerio Vecchiarelli, uscito sul quotidiano La Stampa nel 2002. Il titolo originale era: “Salviamo il Sannio orgoglio d’Italia”. In Italia, in molti ambiti, quasi in tutti, s’inizia a cambiare ciò che va sostanzialmente bene. Ogni ‘rivoluzione’ o presunta tale, parte da ciò che meglio funziona, rispetto al resto, questo è ovvio. Nel 2002 si parlava di come migliorare l’alto livello giovanile. Tra le tante proposte, due furono quelle su cui i più s’impuntarono: le formazioni che partecipavano al campionato under 21, non dovevano partecipare per merito ma per appartenenza. In pratica dovevano prendervi parte le ‘cadette’ dei club di Top Ten. Uno dei più convinti sostenitori di tale idea fu Franco Tonni, attuale consigliere d’amministrazione delle Zebre ed ex direttore di Viadana prima e Aironi poi. La seconda idea invece fu quella di tornare al campionato giovanile under 19 (corsi e ricorsi), una decisione che di fatto tagliò le gambe al progetto Sannio, in quanto i ragazzi al primo o secondo anno  under 21 furono costretti a trovarsi un’altra squadra, gli under 19 a quel punto si ritrovarono con un gruppo più che dimezzato. Queste belle trovate iniziarono a venir fuori appena dopo il Natale 2001, quando il Rugby Sannio, unico club che non aveva una Prima squadra, iniziò a bastonare a destra e manca, tanto da insediarsi in vetta alla classifica. Vecchiarelli, in quel pezzo, cosciente del tranello che stavano preparando al Sannio, chiese di salvare l’unica società del sud in grado di arrivare ai vertici giovanili, senza un campo di allenamento. Di salvare l’unico progetto innovativo di quegli anni, vale a dire un progetto che riuscì a calamitare i migliori prospetti del Sud Italia. Di quel XV, tra le altre cose, è stato detto di tutto, pure che fosse un covo di raccomandati, ma questa è un’altra storia. Da quella squadra, che perse il titolo in finale, sono usciti parecchi giocatori interessanti: Staibano, Mannato, Zullo, Varrella, Gaudiello, Maio, Russo, Spadaro, per fare qualche nome. L’appello non servì a niente e, chi ha memoria, ricorderà com’è andata: società praticamente distrutta e esperienza buttata a mare. La lunga premessa per chiedere, come fece Vecchiarelli, di non fare lo stesso errore con la Benetton Treviso. Troppe voci stanno convergendo sull’idea dell’attuale Presidente federale di dar vita ad un suo vecchio pallino: i Dogi. Una franchigia in United Champions che rappresenti tutto il Veneto. In tanti, infatti, pensavano che il progetto fosse portare le Zebre a Padova, mentre l’idea appare questa. Portare avanti questo progetto significherebbe distruggere il lavoro dell’unica società italiana che negli ultimi anni ha raccolto risultati. Significherebbe castrare la crescita del club, ma significherebbe pure danneggiare l’unica azienda che mette soldi veri nel rugby, da quando Dio inventò la mischia. Pensare di cambiare il rugby italiano, distruggendo l’unico club che sta provando a progettare e ad alzare il livello , è semplicemente da folli. Forse è il caso di aggiungere che, tra le altre cose, il progetto non piace né ai padovani, né ai trevigiani. I primi credevano di poter rilevare la ‘licenza’ delle Zebre, i secondi invece non hanno alcuna intenzione di partecipare ad una ‘cooperativa’ su cui, di fatto, ci sarebbe ‘il cappello’ della Federazione. Ma ciò che lascia più perplessi è un altro aspetto, sicuramente di fondamentale importanza: la famiglia Benetton, senza la vetrina internazionale, continuerebbe a versare soldi nel rugby, nel caso specifico nei Dogi? Qualche dubbio è più che legittimo. Dunque, per chiudere, e per essere più chiari salviamo Luciano Benetton e la Benetton Treviso.