Anche il Top10 2021-2022 è andato in archivio. A cucirsi lo scudetto sulla maglia è stato il Petrarca che in finale ha battuto il Rovigo. Come sempre si fanno chiacchiere da bar (legittime) sulla stagione, sulla finale, su ciò che poteva essere e che non è stato. Rimane il dato di fatto che l’ha spuntata Padova a cui vanno i complimenti di tutta l’Italia ovale.
Fatta questa premessa, però, bisogna capire quale dovrà essere il futuro di un torneo che continua a perdere interesse, a dispetto dei proclami dell’attuale governance del rugby italiano. Non puo’ essere una ripresa televisiva a cambiare le sorti di un campionato definito dagli stessi ‘federali’ “noioso e povero di contenuti”. Bella la ripresa multicamera, bello il TMO, bella la finale in campo neutro, ora però…!
Da più parti corre voce che, nelle intenzioni del presidente federale, ci sia la volontà di ridurre le squadre del massimo campionato per lavorare sulla qualità e per alzare il livello tecnico, al fine di favorire l’alto livello. Tesi singolare: ridurre il numero dei giocatori in grado di competere per il rugby d’elité, secondo la Fir aiuterebbe a ‘sfornare’ più giocatori di livello internazionale. Ci correggiamo: la tesi non è singolare, è semplicemente bislacca.
Ridurre a 8 (qualcuno dice a 6) le squadre in Eccellenza, significherebbe tagliar fuori buona parte dell’Italia, di fatto si metterebbe in palio lo scudetto del Triveneto. Posto che da Reggio – Emilia in giù c’è il deserto (le Fiamme Oro non fanno testo per il loro status ‘ministeriale’), ci chiediamo chi rimarrebbe nel massimo campionato.
La risposta l’abbiamo ed è anche piuttosto semplice: chi ha i soldi. D’accordo: è un parametro, ma stiamo davvero rischiando di lasciare indietro il 70% del territorio italiano per scelte che peseranno a lungo su tutto il movimento.
Che la strada sia quella peggiore lo dimostrano la storia e i numeri. Già in questa stagione, con un campionato a 10 squadre, il rugby di eccellenza si è fermato a Roma. Aggiungiamo che da ormai 20 anni lo scudetto è questione nordica, vorremmo capire dove si vuole finire.
L’ultima finale che ha visto fuori gioco le squadre del nord risale al 2000 con Rugby Roma – L’Aquila, quando esisteva ancora la A/1. Dalla riforma del campionato, stagione 2001 – 2002, in finale troviamo sempre una veneta, fatta eccezione proprio per il primo torneo post riforma quando si giocò Viadana – Calvisano. Negli anni successivi la partita per il tricolore ha sempre visto protagonista la Benetton che se lo è aggiudicato per 6 volte su 9. Dopo l’uscita dei Leoni dal massimo campionato, in finale è finito 8 volte Rovigo, 4 volte Petrarca, una volta Mogliano. A tenere testa a questo strapotere solo Calvisano con 12 finali in 20 anni.
Se invece ci fermiamo a contare i tricolori, scopriamo che negli ultimi 20 anni, per ben 12 volte lo scudetto è finito in veneto e 8 volte in Lombardia. Analizzando la griglia play-off, nello stesso arco temporale, l’andazzo è lo stesso, fatta eccezione per il miracolo Catania che ormai è nella memoria di Garibaldi, di qualche incursione delle due squadre di Parma, del ciclo vincente dei Cavalieri Prato e un paio di partecipazioni delle Fiamme Oro negli ultimi anni.
La contestazione è semplice: il veneto è la regione con più tradizione e la Lombardia quella con più tesserati. Vero, come negarlo, ma proprio per questo bisognerebbe avere più attenzione per il resto dello stivale, considerato che sono due regioni che camminano con le loro gambe. Un’attenzione che, lo diciamo chiaramente, è mancata anche alle precedenti gestioni, troppo prese a rincorrere i risultati della Nazionale maggiore. Con l’avvento di Innocenti ci eravamo convinti che qualcosa sarebbe cambiato. Quando in campagna elettorale parlava di attenzione per il Sud, ci abbiamo creduto. Ma se l’attenzione si concretizza con un massimo campionato a vantaggio dei ‘ricchi’ in barba alle regole fondamentali dello sport, ad un Progetto Sud che non decolla e di cui non si sa assolutamente niente, e allora la vediamo davvero nera.
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